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Intervista a SERGIO MARIO ILLUMINATO

A cura di Lucia Aldinucci

Sergio Illuminato siciliano di nascita, si forma nella capitale dove attualmente vive e lavora.
Dopo la laurea in lettere con indirizzo teatro e spettacolo si diploma all'Accademia di Belle Arti di Roma. E' un artista eclettico: espone sia come pittore che come scultore in personali e collettive un po' in tutto il mondo ( Francia, Emirati Arabi Uniti, Lettonia ecc.) ed è presente anche con mostre permanenti in varie piattaforme internazionali come Wikiart, Artid, Arte Laguna, Absolute Arts e molte altre. Ha curato varie mostre a Roma, è inoltre editorialista ed autore di saggi e libri d'arte nonché curatore di programmi socio-culturali per la RAI.

È un artista eclettico: pittore, scultore, curatore di mostre, autore di saggi, editorialista...quando ha cominciato a “capire” le sue potenzialità?
Le potenzialità di ciascuno, in qualsiasi arte e mestiere, emergono quando s’inizia un confronto serio con la propria vulnerabilità, con tutte le proprie fragilità. Questa società, pur con tutti i suoi innegabili progressi, fallisce la sfida della vulnerabilità: non solo perché non riesce a generare risorse di senso per una vita che è imperfetta e fallibile, ma anche perché si manifesta inadeguata anche per la cura e la protezione delle persone più fragili e più deboli: come se fossero fatalmente più povere di dignità e più ragionevolmente sacrificabili. Il drammatico presente rende invece necessario riscoprire la forza e l’energia fondativa della vulnerabilità nell’uomo per ricomporre un progetto artistico umanistico e civile - economico, sociale, politico, culturale - all’altezza dei tempi che viviamo. Per questo pratico l’arte in tutte le sue espressioni ed ho fondato il movimento VULNERARTE.

Dove e quando avviene la sua formazione?
Dopo aver conseguito da giovane una laurea in lettere e filosofia all’Università la Sapienza di Roma e un certificato di Arte Contemporanea al MOMA di New York, mi sono meritato con lode un diploma di laurea di II Livello in Pittura(Scultura) all’Accademia di Belle Arti di Roma; recentemente ho virato verso gli studi per una terza laurea di II Livello in Cinema, Fotografia e Audiovisivo; insomma la materia prima della mia vita è la competenza trasversale culturale da ampliare fino a rendere la conoscenza un comportamento significante col respiro del presente.

Cosa è per lei l'arte?
Un processo creativo fallimentare inconcludibile che mi permette di disimparare ciò che ho preziosamente selezionato dagli studi e dall’esperienza. I termini devono essere sempre riscritti. Ed è un privilegio praticare il mestiere dell’arte per spalancare orizzonti di illusione o sogno della realtà, per trattare l’intrattabile. L’arte mi offre il vantaggio di leggere ogni espressione dell’esistenza senza riuscire mai a capire fino in fondo ma pure senza poter smettere di leggere e fare. L’esercizio totale dell’arte è forse proprio questo. Continuare a fissare lo sguardo su un’espressione indecifrabile, vuota forse, e sentire di essere assolutamente centrati nel continuo differimento. Sto curando da diversi anni un progetto di ricerca artistica denominato “Corpus-et-Vulnus”. Il progetto elaborato negli spazi del Museo del Laboratorio della Mente grazie al supporto dell’Accademia di Belle Arti di Roma, il Comprensorio Santa Maria della Pietà di Roma e della ASL Roma 1, intende - attraverso le risorse estetiche ed etiche - mettere allo scoperto un sistema sociale limitato a disarmare il corpo e la sua fragilità nello stato di eccezione, all’interno delle cattedrali contemporanee della vulnerabilità: carceri, manicomi, ospedali, barconi…Io frequento spesso questi ex spazi abbandonati al centro delle nostre città col carico della loro memoria. Questi luoghi che scelgo per ospitare le mie opere sono spazi intesi non solo come fisici ma nello stesso tempo mentali, cercati fuori da spazi convenzionali, da una consuetudine. Individuati proprio per considerare l’arte in una diversa prospettiva, dove porsi il problema di uno spazio non solo formale, estetico, ma etico, politico, all’interno del quale i miei OAC Organismi Artistici Comunicanti andranno a situarsi per sottoporre lo sguardo dei partecipanti ad un urto. Un campo esperienziale potenziale, uno spazio meditativo nella sua limpida nudità, affinché l’artista e il fruitore mediti a partire dalla vibrazione delle tracce preesistenti, dalla sensibilità e dall’energia che questo spazio, unico e non intercambiabile, esprime. Arte, quindi, intesa come libertà, come opposizione alla convenzione, come riparo dall’invadenza della superficialità e dall’intrattenimento che impongono all’arte un degrado e una sottomissione intollerabili.

Nella pittura che tecniche usa?
In un territorio di creatività lungo dalle più antiche incisioni su una conchiglia d’acqua dolce nell’isola di Giava, 540 mila anni fa, alla contemporaneità è stata sperimentata ogni tecnica possibile che continuo a cercare di assimilare nei miei interminabili studi laboratoriali. Personalmente però sono affascinato più dal processo della creatività a cui subordino ogni uso di materia e tecnica. Ho acquisito il mio personale processo seguendo la sperimentazione di pochi ideali maestri, primi tra tutti Kiefer e Parmiggiani. In tre parole, il mio processo artistico è pari alla vita: un andare contemporaneamente dal corpo, alla mente, allo spirito; e in maniera sensibile, incrociare nello stesso tempo una storia dell’arte che, in altre tre parole, partendo dalla domanda sul saper FARE arte di Giorgio Vasari nel 1511, a cui si è aggiunta quella del saper PENSARE dell’arte di Hans Belting e Arthur C. Danto fin oltre il 900, senza alcuna iattanza, vorrei portare al XXI secolo intorno alla domanda saper ESSERE dell’arte. Ogni volta che creo nella pittura così come nella scultura sono eccitato da come dalla distruzione(morte) delle materie che uso nelle tecniche alchemiche più disparate, ri-trovo la materia prima(creazione), avviandone irreversibile trasformazione(ri-nascita) in una continua evoluzione inconcludibile. L’obiettivo dei miei OAC Organismi Artistici Comunicanti non è rottura o rovina di qualcosa di perfetto, ma come svelare la possibilità che dietro di essi ci sia del nuovo.

Ama sperimentare, magari con materiali alternativi e non solo con quelli convenzionali?
Il primo innesco sul mio puzzle sulla pittura è sempre e solo stato il corpo, la materia. La traccia pittorica materica autonoma che vuole raccontare sé stessa, che reclama i suoi diritti; è stata la scelta prima. Il puro pigmento cromatico messo contro una cosa fisica che è la tela. Inizia così l’avventura. Tutto parte da lì e li finisce, con una luce nuova appunto. L’attenzione iniziale, quindi, è stata concentrata a dove condurre le limitazioni che costituivano il medium della pittura: cioè la superficie piatta, la forma del supporto, le proprietà del pigmento. Quindi, affrontare il problema di che tipo di materia e quale tipo di informazioni di materia potevano transitare sulla tela per concedere una potenza vitale a questa unicità espressiva. La prima soluzione l’ho trovata nel modo più antico possibile, facendo diventare la pittura un-uno con la scultura. Ecco, dunque, che il mio rampino d’aggancio con la tela per azionare l’atto creativo è il corpo-a-corpo con l’accumulo di paste cromatiche prima, materiali naturali e oggetti o frammenti di oggetti prelevati dalla realtà quotidiana poi, che s’incontrano sulla tela, evidenziando la fisicità, il dinamismo del movimento della composizione scultorea. Dinamismo che ha proprio nei tratti comportamentali, e non più solo nello sguardo, una vicinanza di fatto con la danza contemporanea. Dove l’attivatore, per forza, oltre all’artista è di chi percorre il fronte dell’evidenza plastica del dispositivo. Quindi nella prassi, nella scelta della materia, dei materiali, nella tecnica compositiva e d’uso comincio a compiere la selezione naturale delle idee. È proprio in questo dialogo tra materia e modi di esecuzione, prove e sperimentazioni per addizione o sottrazione, e anche da molti incidenti estetici fortuiti, dal caso, tra natura e alchimia, che instauro nuove relazioni tra l’esperienza concreta del mondo e la conoscenza di altre possibilità di verità. Incorporando gli aspetti concreti in luogo di rappresentarli, nel tentativo di liberare le possibilità espressive della materia, con gesti e segni noetici che vorrebbero essere forti, mi immergo, mi identifico in questo corpo che è la stessa carne del mondo, fino alle radici cerco di fare tutt’uno con l’esistente materico degradato, ferito, emarginato, violentato; poiché, come meglio definito nel concetto di chiasma o intreccio nel dirla alla Merleau-Ponty: «…non siamo solo nel mondo ma anche del mondo».

Cosa è l'arte informale? Può spiegarla brevemente?
Per spiegare la forza travolgente che mi ha legato all’arte Informale riavvolgiamo dunque questo viaggio veloce fin qui, evidenziando ancora una volta che la ricerca avviata attraverso i miei OAC Organismi Artistici Comunicanti è concentrata nella capacità di cercare di liberare le possibilità espressive del corpo della materia, indicando il punto esatto in cui l’arte si distingue dalla vita o, per l’esattezza, dove essa si differenzia dalla vita. Tale distinzione che vado ricercando è cruciale perché mi pone al fianco degli artisti che nei secoli hanno, con l’interpretazione e la tensione avvertita verso la realtà, rivoluzionato le abitudini visive del partecipante e modellato, volta per volta, quell’effettivo intreccio di concetti, comportamenti e norme che costituiscono la condizione di esperienza attraverso le opere d’arte. Attraverso questo movimento materico dell’arte che parte dal nulla, dalla coscienza di tale movimento e dalla traccia che resta sulla tela come simultaneità di un qualcosa e dal nulla di un’ermeneutica Della Realtà (alla Vattimo), di cui si può cominciare a rendere sensibile l’invisibile, incarnare, dar corpo all’invisibile. È necessario chiarire in questo passaggio rapido che la materia e il processo artistico del fare non vogliono liberare, emancipare la materia nell’opera, non vogliono annullare la realtà da cui proviene come scarto. La materia vuole avere ancora fortemente traccia visibile della vita da cui proviene ma al contempo ora prova a ricercare una nuova luce pura. Arte la mia quindi, come per tutti gli Informali che mi hanno preceduto, che cerco in tutti i modi di non voler essere fraintesa come fuga dalla realtà o alla stregua di una sua idealizzazione. Quest’atto ha un preciso valore etico che coinvolge quell’esperienza artistica ascritta per congiuntura storica all’Informale, con, tra gli altri, oltre a Antoni Tàpies e Anselm Kiefer, Jean Dubuffet, Jean Fautrier, Wols, Alberto Burri… di cui ogni singolo percorso è però sempre svolto all’insegna di una grande autonomia, della sperimentazione e dell’intuizione individuale che comprende realtà differenti, complesse, articolate e discordanti.

In questa società così fluida l'artista che posto ha? Può, attraverso le sue opere dare un contributo al cambiamento dell'ambiente in cui vive?
Il prossimo apparato espositivo a carattere site-sensitive lo realizzerò all’ex carcere di Castello a Velletri e proverò a cambiare il verso della narrazione contemporanea, presentando il corpo e la vulnerabilità come nella storia sono sempre stati: anelli forti dell’umanità; che banditi dal commercio globalizzato del presente entrano di diritto tra i materiali usati per l’arte nel creare dispositivi di etica nomade ed emancipare il viaggio dell’uomo moderno. Nel fondo di noi stessi si agitano molte ombre. Impronte, vite che salgono e che scendono sui gradini consumati dal passaggio quotidiano. E in questo carcere antico che possiamo ritrovare gli stessi passi, i respiri, il calpestio verso tutto, verso nulla, ma aggrappati alla vita, alla speranza dei miei dispositivi. Questo legame nel nascondere, nel celare la propria intima forma nel silenzio del degrado e di tutto quello che vi era stato, custodisce il mistero di una complicità e di una solidarietà profonda tra la natura delle mie opere e quella dell’ambiente esistenziale in cui viviamo. Un’arte che aspirerebbe ad una forza traumatica di una crivellatura del significante. Un significante che agisca nello spettatore marchiandolo a fuoco. Che tocchi le viscere del partecipante. La sua forza è appunto definita nella capacità raggiunta nello smascherare l’inganno dell’integrità o dell’interezza; laddove, nella vita reale, tutti noi crediamo di avere a che fare con positività da un lato e negatività dall’altro. Con quel che esiste e con quel che ancora non esiste o non esiste più. Crediamo di poterci muovere scegliendo il positivo o negativo, e di poterci disinteressare, di volta in volta, o dell’uno o dell’altro. Ma la mia arte - fallendo certamente più volte - nel tentativo di raggiungere la possibilità di mostrare l’assurdità di una tale convinzione, cerca di mostrare come stanno veramente le cose e contribuisce a disegnare configurazioni nuove del visibile, del dicibile e del pensabile. Provando che l’essere come tale non può mai essere spiegato e che l’unica realtà, anche in una società così fluida, è quella dell’arte.

In che cosa ancora vorrebbe osare e sperimentare?
La vita ha davvero dei cicli strani che non puoi controllare. Sono partito nei miei studi e nel lavoro col cinema e il teatro. Poi approdato alla pittura e alla scultura. Ora vorrei osare a sperimentare un progetto in senso ampio “performativo”, naturalmente complesso perché fatto di molte vie che si riallacciano, a tratti, tra loro fatto di pittura, scultura, cinema, foto, danza … non tanto in senso meccanicistico e quindi formale, frutto di composizioni e misure, ma parti che si ibridano per continuità. Il dispositivo comunicante, organismo artistico complesso, è quindi alla base di un sentire che filtra tra i vari elementi: opere e luogo. Tutto è strettamente connesso, tanto che il pensiero (forse bisognerebbe dire lo spirito) che circola tra i vari media (i quadri, le sculture, le immagini in movimento, il testo, il luogo) è il vero dispositivo comunicante senza forma definitiva, così come non ha forma definitiva la vita che del “corpus” e del “vulnus” è la materia prima. Dalla relazione nasce l’idea di percorso espositivo performativo come anche del percorso del pensiero che lo precede e vi abita. Per questo, si può parlare anche di una sensibilità “performativa” aldilà della grammatica troppo stretta dei linguaggi, perché anche le opere possono funzionare come performer in un campo di relazioni da esse attivate. Siamo stati abituati ad introiettare la pittura e la scultura come una realtà sacrale insondabile ed autosufficiente, da guardare da lontano, quasi fosse un’isola dove non si può sbarcare. Mentre “veder dipingere - sostiene William J.T. Mitchell nel suo Pictorial Turn - è veder toccare, vedere i gesti dell’artista, ecco perché - deduceva Mitchell - è proibito in modo tanto rigoroso toccare le tele”. Lavorare sull’esposizione, invece, come fosse un racconto anche biografico che rende la posizione dell’autore in un campo problematico di relazioni, è un modo di svelare il lavoro facendone sentire il processo e quindi la vitalità. I media visuali non esistono, ha sostenuto ancora Mitchell, volendo argomentare che non ci sono media “puri”, poiché i nostri sensi non possono agire in maniera autonoma, essendo noi dentro un corpo-organismo. Corpus-et-Vulnus formano un organismo senziente e comunicante i cui segni non sono certo illustrazioni astratte di concetti ma concetti-matrice essi stessi, in quanto parti costitutive di un organismo vivente e proliferante.

Cosa vorrebbe dire a quei giovani che volessero affacciarsi al mondo dell'arte?
Si vive cercando di fare quello che fa la maggior parte di noi: cercare la felicità fuori di noi, convinti che per ottenerla dobbiamo adempiere a tutto ciò che il mondo prescrive di fare; abbracciando la visione competitiva e consumistica che domina la nostra società. L’arte invece dilania è un’esperienza di risveglio inaspettata e spontanea. Mette allo scoperto tutti i traumi, consci e inconsci, ravviva tutto il dolore di sé. Ma il dolore non è sempre una cosa nefasta, è anche una cosa che apre il cervello e fa capire. Si torna sempre lì, alla questione centrale che è difendere una idealità, una fantasia poetica, un’idea di segreto della contemporaneità; in ogni caso per difendere tutto quello che di vitale c’è in un gesto manuale e immediato racchiuso nel processo artistico e curatoriale da cui comunque la realtà può offrire altre possibilità. Una realtà quindi che si allontana fino a separarsi dal corpo ri-creato e che corre per il mondo a ri-portarvi l’originaria forza inconsumabile dell’Arte. L’arte ci fa capire quanto la vita che abbiamo davanti sia complessa e di come ogni singolo aspetto della realtà conta. Ma soprattutto, ci fa percepire in maniera limpida come il corpo e la nuda caducità tragica di tutte le cose non sono affatto gli indici di una delle condizioni della vita destinati ad essere superati verso un altrove; ma indici della forma propriamente umana, della nostra esistenza precaria su questo mondo.

 

 

 

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